Sotto la notizia, il falso

Darlin Do You GambleCominciano le conferme, ma prosegue la manipolazione delle notizie: ottenuta diffondendo una terminologia inappropriata e fuorviante. “Nella crisi, gli italiani riducono la spesa per i giochi pubblici. Stanno perdendo la speranza persino nella Dea Bendata”. Tg e giornali hanno rimbalzato la notizia. Come stanno le cose? E’ una informazione attendibile? E perché è stata diffusa? Il lessico impiegato è quello appropriato ?

 

Un po’ di pazienza, mettiamo in ordine dati e riferimenti. Primo elemento. La crisi di redditività della gigantesca macchina del gioco d'azzardo presenta adesso numeri importanti: per lo Stato, che nel 2012 ha rinunciato a quasi un miliardo di euro di ricavi; per i trust dell'alea che segneranno nei loro consuntivi somme inferiori a quelle del 2011. Due dati di fatto (netta perdita per l'Erario, ridotti margini per i concessionari) che vengono ammessi dai diretti interessati. Con una pesante omissione e con una retorica manomissione, però. Si lascia in ombra, infatti, che il denaro che nel 2012 gli italiani hanno immesso nei giochi è di una cifra superiore di quasi il 20 % a quella dell'anno precedente, con la quota confluita nei montepremi egualmente salita.

E la comunicazione sponsorizzata dai concessionari così riassume: fatta la differenza, la "spesa degli italiani" per il gioco pubblico è calata. Quasi a far intendere che le persone, scoraggiate dalla crisi economica generale, riducano il tempo davanti alle slot machine o al casinò on line, grattino meno tagliandi, scommettano meno spesso. E su tale "notizia" si sono compilati elzeviri, divulgate notizie e dichiarazioni. Con poca professionalità giornalistica, vale a dire non controllando i take delle agenzie di stampa.

Per "spesa" - asseriscono le fonti "interne" ai concessionari - si deve intendere solo la quota trattenuta (e suddivisa) dagli organizzatori dell'azzardo e dallo Stato: diciotto miliardi, probabilmente (perché mentre scriviamo ancora non è disponibile il bilancio completo di "conguaglio"). Non l'intera somma registrata dai sistemi informatici dei Monopoli (al netto di alterazione degli apparecchi "mangiasoldi"). Insomma, il fatto che in tutte le latitudini del Bel Paese si siano allungate le file per comprare Gratta e Vinci, per inserire monete nelle macchinette, mentre nelle abitazioni si tira sempre più fino all'alba per puntare al tavolo verde virtuale, tutto questo fenomeno di costume è presentato nei mass media come una inversione di tendenza: gli italiani spendono meno per il gioco! Non solo rinunciano a correre alle vetrine per i saldi dell'abbigliamento, ma anche si disaffezionano dal tentare la fortuna.

Corollario: non c'è ragione di allarmarsi per una improbabile epidemia di gioco d'azzardo patologico! Al massimo si tratta di Ludopatia...

Tralasciamo pure che le quote trattenute raggiungono una cifra comunque pari alla spesa per la Difesa militare. E dunque un effetto macroeconomico lo generano: sottraendo consumi ad altri settori del mercato dei beni e accentuando lo scoraggiamento delle domanda causato dal fisco.

Chagoya slot machineIl fatto è che la "raccolta" è in realtà "consumo". E il payout non è "restituzione": per l'insormontabile ragione che il gioco d'azzardo non è la sottoscrizione di fondi per una mutua, la quale a turno "restituisce" benefici a tutti i partecipanti! L'alea è un'anti mutua: qualcuno incassa, molti perdono. Se no, che gioco d'azzardo sarebbe?

E' vero che nei mercati del denaro accade qualcosa di analogo (si pensi alle finanziarie "a piramide", cioè ai "derivati"... e agli effetti micidiali che stiamo tutti patendo), ma per l'appunto l'abnorme business italiano dell'alea è coerente con il trend delle "bolle" speculative. Il paradigma è questo: impieghi di denaro crescenti, illusioni cognitive (euristiche) di vantaggi fantastici per gli investitori. Sempre più giocatori che immettono, sempre meno margini di profitto, ma crescente attesa di "montepremi" sulla finanza creata nell'impiego di risparmi nel "sistema gioco". I concessionari hanno anticipato versamenti allo Stato (che si è accontentato di “pochi, maledetti e subito”) e per reperire le somme si sono indebitati con le banche. Ma la decrescita dei margini spinge a differire (anche per loro) il completamento della “restituzione”. E perciò il loro debito ha necessità di essere rifinanziato: raccogliendo sottoscrizione di obbligazioni e titoli, nella promessa di una redditività futura. E così che il volume lordo del consumo di gioco deve lievitare ad infinitum… cioè assottigliando i margini del “trattenuto” (e qui lo Stato perde più dei concessionari) e abbassando ulteriormente la soglia per agganciare le persone all’alea. E così, proseguendo, fino all’esplodere della bolla. E il governo che fa? Anche l’Esecutivo si mette al tavolo verde e versa le sue quote. Un esempio? Consentendo ai concessionari di maturare interessi bancari attivi sul cash flow. Cioè? Sapete quando vengono pagate le vincite “consistenti”? Dopo almeno tre settimane dall’evento. Tre settimane di interessi a vantaggio dei big della “raccolta”. Un altro regalo che senza saperlo i contribuenti accordano ai “diretti interessati”. Il flusso di cassa è un business secondario e cospicuo.

Ultima domanda: la manipolazione sarebbe possibile senza aver prima arruolato una sterminata popolazione alla dipendenza da gioco d’azzardo patologico? Come spezzare il legame tra business iperbolico e sofferenza da GAP di massa? Anche da queste domande ricaviamo che alla questione del gambling servono posizioni competenti, mentre superficiali e ingenue posizioni rischiano di aggiungere la beffa al danno.

Roma, 11 gennaio 2013