Giocare con le parole, azzardare con la cura

paroleLe parole sono importanti. E' anche attraverso di esse che il mondo acquista senso. E questo senso può cambiare anche a seconda di termini che usiamo per descriverlo. Manipolare la semantica dunque può dare luogo alla modificazione della realtà percepita e la storia delle parole usate nel nostro paese negli anni scorsi per descrivere il gioco d'azzardo, e persino il gioco d'azzardo patologico, riservano sorprese interessanti.

In tutto il mondo dal 1980 in poi il gioco d'azzardo patologico (GAP) è considerato incontestabilmente un problema di salute e trattato di conseguenza. Niente da nascondere, nessuno da incolpare. Persone che si ammalano, servizi che curano. Non così da noi.
A partire dalla inesistenza nella nostra lingua dell'analogo "gambling" degli anglofoni, in italiano la decadenza del suffisso "d'azzardo" lascia orfano il suo gemello "gioco". Così, l'azzardo è stato lessicalmente travestito da innocua attività e passatempo, quelli che favoriscono un armonioso sviluppo della personalità, quelli che ci accompagnano sin da bambini, e che – da adulti – mutano nella forma ma non nella sostanza. Non più bambole o palla. Ma slot-machine e gratta e vinci. Buoni, positivi.
Come fare in un simile contesto a collocare le manifestazioni di gioco d'azzardo patologico quando appaiono? Che spiegazioni dare?
Possiamo osservare almeno tre fasi. La prima, è durata a lungo, a partire dal 2003 almeno fino al 2011: il gioco d'azzardo patologico NON ha potuto esistere. Già, perché il "gioco legale, gioco sicuro" non ammetteva deroghe. In precedenza al 2002, il gioco patologico era collegato al gioco illegale cui si era affermato di avere posto rimedio mediante la riorganizzazione del mercato del gioco lecito in Italia. Così, in questa decina d'anni, coloro che hanno sollevato la questione che il gioco d'azzardo patologico esisteva eccome, se politici sono stati accusati di voler fare campagna elettorale parlando di gioco patologico, se specialisti della salute o volontari sono stati accusati di volerci guadagnare vendendo cure inutili, o tutt'al più sono stati trattati come visionari. L'origine di queste significazioni, il gatto e la volpe: concessionari e Monopoli di Stato.
Quando il problema della patologia da gioco d'azzardo ha assunto proporzioni così rilevanti da non poter più essere nascosto come la polvere sotto il tappeto ecco l'ingresso nella seconda fase (2011): caso mai, esiste la "Ludopatia". Questo termine non suscita scandalo di per se. In altri lemmi ha una tradizione ed un senso, anche storico. Corrisponde ad esempio al tedesco Spielsucht ("malattia del gioco"). Ma nella nostra tradizione di occultamento di un problema di salute individuale e pubblica l'uso di questa specifica parola è tutt'altro che indifferente. Diviene manifestazione di attenuata assunzione di responsabilità riguardo i danni derivanti dall'azzardo di Stato, dal gioco legale - gioco sicuro, responsabilità che vengono addossate al cittadino giocatore d'azzardo patologico piuttosto che al decisore politico scellerato. L'azzardopatia, fondata su una promossa ed intenzionalmente governata illudopatia, è invece assai più simile ad una lu(ri)dopatia: quanto i fatturati stratosferici dell'azzardo di Stato sono infatti alimentati dalla spesa dei giocatori patologici?

Nel 2012 Balduzzi la inseriricevitorialottosce nei LEA, ma non prevede copertura finanziaria. Forse perché anche lui fa un pasticcio con le parole? Testualmente nel DL 158/12 (convertito in legge 189/2012) si legge: "si provveda ad aggiornare i livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (G.A.P.)". Nasce in tal modo almeno una specie di classificazione ufficiale di questa patologia nel nostro Paese. Ma è con l'avvento della terza fase nel 2013 che si sfiora l'assurdo. Sono gruppi di professionisti che tradendo il giuramento di Ippocrate si adoperano per mitigare il peso di una patologia invasiva, recidivante, che comporta severe conseguenze per chi gioca e chi gli sta intorno. Il messaggio che trapela può essere sintetizzato così: "Si, vabbé, il gioco d'azzardo patologico ... esiste. Però ... non esageriamo!".
Si annulla buona parte della letteratura scientifica internazionale suggerendo la necessità di fornire agli operatori punti di riferimento per innovare su basi scientifiche interpretative il fenomeno del gambling. Come se vi fosse la necessità di innovare ed interpretare un fenomeno (il Disturbo da Gioco d'Azzardo, in inglese Gambling Disorder) che anche il nuovo DSM-5 continua a contemplare inserendolo nei Disturbi Correlati alle Sostanze e Dipendenze (Substance Related and Addictive Disorders). In precedenza comunque, già dal 1980, era incluso nei disturbi del controllo degli impulsi n.a.s. E mentre la comunità scientifica internazionale si muove verso una sempre più precisa connotazione di questa patologia, in Italia striscia un rischioso messaggio proveniente da fette di comunità di operatori che ci dicono: «Tra l'idea che ogni eccesso sia una potenziale malattia e la fantasia che tutto si possa e si debba curare, la diffusione del gioco d'azzardo mette in crisi il paradigma interpretativo delle dipendenze» cioè ... «C'è una linea di confine tra problema e patologia».
Sin qui non c'è da scoprire l'acqua calda: è lo stesso nuovo DSM-5 che declina la gravità del disturbo da gioco d'azzardo differenziandolo in lieve (4 o 5 criteri), moderato (6 o 7 cri- teri) o grave (8 o 9 criteri). Si innesta tuttavia un'altra considerazione, tutt'altro che priva di possibili conseguenze: «Servono evidenze meno inquinate emotivamente e sufficientemente robuste, per facilitare l'approccio professionale al problema ed orientare efficacemente le policy nazionali ed europee».
Che significa affermare questo in relazione ad una patologia così ben delineata? Quali le conseguenze di insinuare il dubbio che vi possano essere posizioni inquinate emotivamente in grado di attenuare le capacità di presa in carico dei pazienti da parte degli operatori?
I giocatori patologici sono stati esposti all'azzardo a bassa soglia ed hanno appreso un comportamento per via di un condizionamento operante di skinneriana memoria, si sono ammalati e necessitano di cure gratuite e professionalmente qualificate. Che c'è da interpretare? Che c'entrano le «posizioni emotive»? Qui c'è solo la sofferenza dei giocatori d'azzardo, ormai condizionati nel comportamento grazie ad una operazione legalizzata di apprendimento dell'azzardo di Stato e di induzione alla dipendenza da azzardo, e c'è la sofferenza dei loro familiari che gli operatori debbono prendere in carico.
Senza più giri di parole.


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