La fatica di normare il gioco d’azzardo lecito in Italia, tra bisogni di salute e conflitti di interesse
Commento tecnico-scientifico sugli aspetti inerenti il GAP contenuti nel Decreto Balduzzi
Con la conversione in legge dell’otto novembre u.s., il decreto n. 158, comunemente denominato anche come decreto salute o decreto Balduzzi, assume una strutturazione definitiva, incorporando diversi emendamenti proposti durante il lavoro parlamentare. Il decreto assume particolare importanza per quanti operano nel campo dello studio, della prevenzione, cura e riabilitazione dei problemi correlati al gioco d’azzardo patologico in quanto rappresenta il primo atto emanato dal Ministero della Salute su questa importante tematica di salute pubblica. ALEA, di comune accordo con AND, ha predisposto un documento analitico, reperibile sul sito delle due associazioni, per formulare alcune considerazioni sulle parti del decreto che direttamente intervengono in materia di gioco d’azzardo, in particolare gli Artt. 5 e 7, i cui punti principali sono di seguito trascritti.
{jcomments on} Il giudizio che Alea e And danno al decreto n. 158 è di complessiva insufficienza, pur avendo apprezzato il tentativo da parte del Ministro della salute di affrontare una problematica ormai ineludibile, ma che solleva un enorme conflitto di interesse nello Stato. Non sfugge che la situazione finanziaria attuale caratterizzata contemporaneamente da ingentissimi sprechi e privilegi, nonché da un indebitamento insopportabile, ha reso l’azzardo una voce di entrata assai significativa e alla quale si sta attingendo con eccessiva noncuranza rispetto alle conseguenze culturali, sociali, e sanitarie; vengono in tal modo rinnegate tutte quelle considerazioni che hanno sempre portato a ritenere l’azzardo una tipologia sostanzialmente differente da altre forme di intrattenimento. L’avventatezza istituzionale, la spregiudicatezza nell’aver permesso una diffusione capillare ed ubiquitaria, l’avidità ingravescente che ha spinto i governi e il legislatore a “commissionare” sempre nuovi introiti dal settore giochi, infine l’apparente indisponibilità a tornare su queste decisioni, porta a sostenere che lo Stato sia divenuto gravemente dipendente dal gioco d’azzardo e che qualsiasi provvedimento vagamente limitativo venga temuto al pari di una sindrome d’astinenza.
Del cosiddetto decreto Balduzzi sono circolate in rete e sulla stampa innumerevoli bozze. A partire da tali testi, è facile evidenziare un progressivo decadimento della intenzionalità riformatrice del governo, fino ad arrivare ad una versione del tutto ripulita dalle norme più incisive. Il successivo passaggio in aula ha permesso l’introduzione di alcuni correttivi che, seppur nella direzione giusta, non modificano la sostanziale insipidezza del provvedimento.
Esistono equivoci e incompletezze che potrebbero aprire le porte a iniziative francamente pericolose (ad esempio interventi ambigui a livello scolastico, possibilità di tracciamento dei comportamenti individuali di gioco).
Il punto qualificante del decreto è rappresentato dall’importante e doverosa decisione di inserire il gioco d’azzardo patologico nei livelli essenziali di assistenza. L’iniziativa viene di fatto depotenziata dalla rinuncia a reperire finanziamenti dedicati e finalizzati all’avvio sistematico di iniziative di cura e prevenzione. La norma rinuncia a dare indicazioni omogenee alle Regioni affinché sia sviluppato un sistema di monitoraggio epidemiologico, di assistenza e di prevenzione nel settore. Di per sé il provvedimento non afferma nemmeno la competenza dei dipartimenti per le dipendenze nella implementazione degli interventi sociosanitari.
Il secondo punto forte del decreto è quello relativo alla limitazione della pubblicità e alla diffusione di informazioni sui rischi di dipendenza. La materia è oggettivamente difficile se si vuole evitare di assumere posizioni draconiane e proibizionistiche. Viene posta particolare attenzione a limitare la promozione dell’azzardo negli ambiti dedicati ai minori. Tuttavia la norma non sembra di facile attuazione. Soprattutto essa manca di raccogliere nozioni ben diffuse in ambiente scientifico che attribuiscono ai cosiddetti pensieri erronei dei giocatori un fattore significativo di spinta verso l’azzardo: non viene posta alcuna limitazione a messaggi promozionali che stimolano e sfruttano questi errori cognitivi a tutto vantaggio dell’industria.
Il terzo punto di rilievo introdotto dal decreto è rappresentato dal rafforzamento della protezione dei minori, in particolare con il divieto dell’accesso del minore di anni 18 nelle sale prevalentemente o totalmente dedicate al gioco. Tale decisione non può che essere approvata, pur nella consapevolezza che il modello distributivo dei giochi rende difficile una limitazione realmente importante, almeno finché il concetto di pericolosità e di sanzione non verrà interiorizzato dai gestori.
Le sanzioni per le violazioni in tema di pubblicità e gioco minorile appaiono significative; tuttavia anche in questo caso la diffusione capillare dei punti gioco rende assai arduo effettuare controlli veramente dissuasivi.
Tuttavia è evidente che la focalizzazione della norma su aspetti particolari e specifici (quali ad esempio, tutela dei minori e limitazione della pubblicità) ancor prima di avere disposto su ambiti più generali e di più ampio respiro (ad esempio, definizione di un modello distributivo del gioco d’azzardo lecito nel territorio, enunciazione del rapporto atteso tra benefici e costi, programmazione della valutazione dell’impatto socialmente sostenibile, pianificazione delle strategie di tutela delle fasce di popolazione vulnerabili, ecc.) appare limitante e persino confusivo, finendo per allontanare il legislatore dalla formulazione di un articolato completo e di ampio respiro, come la materia dell’azzardo necessiterebbe. L’emanazione di un «Testo unico delle leggi in materia di disciplina dei giochi d’azzardo, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di dipendenza», così come a suo tempo fu fatto in materia di stupefacenti e tossicodipendenze con il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 9 ottobre 1990, appare quanto mai opportuno e auspicabile.
Ciò che agli operatori sociali e sanitari del settore appare molto chiaro è che il decreto legge n. 158 pecca soprattutto per omissioni: ci si attendeva forse un atto più coraggioso da parte del governo, un segnale forte di cambiamento di rotta. Ciò che si è visto invece è il prevalere della pressione incoercibile alla ricerca di denaro da chiunque e comunque arrivi.
A questo punto, una volta formalizzato l’inserimento del GAP nei LEA, la gestione passerà alle Regioni che dovranno dare applicazione al decreto nei modi che ognuna riterrà più consono.
In conclusione, Alea e And hanno sottolineato alcuni punti essenziali, peraltro in parte già pubblicizzati in precedenti documenti, che emergono dalla lettura del decreto legge n. 158 nelle sue parti che riguardano il gioco d’azzardo:
- l’iter che ha portato alla approvazione del decreto, sia la discussione in seno al Consiglio dei Ministri che il successivo iter parlamentare di conversione, da un lato ha deteriorato l’incisività di alcuni provvedimenti, dall’altro ha lasciato alcuni nodi del tutto irrisolti;
- si da atto comunque che esso rappresenta il primo atto dello Stato che tenta di affrontare in modo organico alcuni problemi dell’impatto dell’azzardo sul tessuto sociale e sulla salute individuale;
- il decreto stabilisce che il gioco patologico debba essere ricompreso nei livelli Essenziali di Assistenza, ma rinuncia ad affrontare il nodo della spesa. Tale decisione appare assai problematica se si tiene conto dei pesanti tagli alle spese sanitarie previsti da altri provvedimenti di legge, e inoltre è difficilmente comprensibile nel momento in cui lo Stato recupera ingenti risorse proprio attraverso la promozione selvaggia dell’azzardo. Lo Stato non solo ha rinunciato a reperire risorse al suo interno, ma ha anche rifiutato di prendere in considerazione una maggior tassazione dei concessionari e/o degli stessi giocatori a favore di iniziative di assistenza. Diventa assai difficile comprendere come poter avviare serie politiche sociali e sociosanitarie a favore dei giocatori e delle loro famiglie;
- nel decreto 158 lo Stato inoltre ha:
- oevitato di scorporare definitivamente le politiche di gioco responsabile e di prevenzione del gioco patologico dalle competenze dell’AAMS, assegnandole al Ministero della Salute
- orinunciato a ridisegnare il modello distributivo dei giochi e assegnare alle amministrazioni locali specifici poteri di controllo
- oevitato di individuare un metodo per la risoluzione di controversie generate dal conflitto di interesse tra settori dello Stato a pari dignità e tra Stato e amministrazioni locali
- orinunciato a introdurre norme concrete volte alla protezione delle famiglie dei giocatori eccessivi, ad esempio attraverso meccanismi di autoesclusione.
- Alea e And sostengono che tutte le azioni volte a limitare i rischi da gioco d’azzardo dovrebbero essere validate attraverso ricerche empiriche per stabilirne efficacia e limiti. Analogamente tutti i progetti di prevenzione e/o riduzione del danno e tutti i dispositivi hardware o software tesi a limitare i danni dell’azzardo dovrebbero essere sottoposti a validazione scientifica indipendente.
- la diffusione dell’azzardo ha aperto la strada a problematiche sociali e sociosanitarie tali da richiedere attento studio, monitoraggio dei fenomeni e ricerche epidemiologiche in grado di guidare le decisioni politiche in materia di giochi. Appare quindi necessario individuare strutture, persone e risorse che siano in grado di garantire un metodo di ricerca indipendente.
06.01.2013