Valutazione di esito di un gruppo di giocatori d’azzardo patologici, malgrado le cure
“… la semplice idea che la malattia di cui soffriva Nataŝa non poteva esser loro nota, come non può esser nota nessuna delle malattie da cui è colpito ogni uomo vivo; ogni uomo vivo infatti ha le sue peculiarità e ha sempre una malattia speciale e sua propria, nuova, complicata sconosciuta alla medicina.” (L. Tolstoj, Guerra e pace, Libro terzo, cap. XVI)
Occuparsi della terapia di un disturbo porta necessariamente a focalizzare lo sguardo sul particolare, sul caso singolo: l’atteggiamento che ci guida è quello di definire la giusta alchimia terapeutica per la persona sofferente che si rivolge a noi. Parallelamente, l’atteggiamento scientifico, cui la medicina e la psicologia dovrebbero tendere, ci obbliga a sollevare lo sguardo e analizzare gli effetti del nostro operato in modo da valutarne l’appropriatezza, come suggerisce Skinner: “Certamente la scienza è più che un insieme di atteggiamenti, è anche la ricerca di un ordine, di certe uniformità, di relazioni tra gli eventi della natura, basate su leggi costanti. Essa ha inizio, come tutti noi sempre iniziamo, con l’osservazione di episodi singoli, ma passa poi rapidamente alla regola generale, alla legge scientifica” (Skinner, 1953).
Per la Cochrane Library (Cowlishaw et al., 2012) vengono definiti esiti primari di un trattamento psicologico per il gioco d’azzardo patologico: (a) la riduzione della severità dei comportamenti legati al gioco; (b) la riduzione delle perdite finanziarie derivate dal gioco e (c) la riduzione della frequenza degli episodi di gioco e come esiti secondari principalmente la riduzione del malessere associato.
Al Ser.T. di Cortemaggiore (PC) abbiamo trattato pazienti con disturbo da gioco d’azzardo in modo episodico dal 1998 e dal 2006 l’accesso dei pazienti è stato costante, e progressivamente ha portato ai circa 140 pazienti in carico nel 2013. Il tipo di trattamento proposto è stato multimodale, personalizzato al singolo paziente. Lo studio sugli andamenti di esito si riferisce ai pazienti presi in carico dal 2006 alla fine del 2013; il criterio di inclusione è un periodo di presa in carico uguale o superiore a 6 mesi. Il criterio è stato definito per discriminare le situazioni in cui il nostro intervento sia stato effettivamente rilevante; condizioni di presa in carico per periodi inferiori sono in genere relative a persone che non hanno maturato la decisione del trattamento oppure sono venute al servizio solo per fortificare la loro decisione e i loro interventi, già messi in atto, come anche suggerito da Hodgins et al. (2011).
Procedura
Sono stati considerati 264 pazienti presi in carico dal 2006; rispetto a questo campione sono stati considerati due criteri di esclusione: la presa in carico per un periodo minimo di sei mesi e l’assenza di diagnosi di malattia di Parkinson, poiché il progredire nel tempo rende purtroppo meno cruciale la valutazione del gioco d’azzardo rispetto al progredire della malattia neurodegenerativa. Sono quindi stati esclusi 150 pazienti, perché per loro la durata della presa in carico era inferiore ai 6 mesi, e 8 ulteriori pazienti con malattia di Parkinson ingravescente. Il campione finale è quindi stato costituito da 106 pazienti.
Ogni paziente è stato contattato telefonicamente ed è stata proposta una breve intervista strutturata di follow-up (vedi tabella 1) liberamente ispirata ai criteri della Cochrane Library (Cowlishaw et al., 2012); in condizioni di ambiguità sono stati contattati anche i familiari di riferimento. Dei 106 pazienti risultati eleggibili e quindi contattati, 101 hanno risposto e 5 non sono in nessun modo stati raggiungibili.
Le caratteristiche di base evidenziate prima della somministrazione del questionario di follow-up sono: (a) genere, (b) età, (c) data della presa in carico, (d) stato civile, (e) istruzione, (f) tipo principale di gioco, (g) durata del gioco d’azzardo nella vita, (h) presenza/assenza di un disturbo psichiatrico di rilievo (psicosi, complessi disturbi di personalità, depressioni clinicamente significative), (i) tipologia di Blacszczynski (Blacszczynski e Nower, 2002), (l) motivazione al gioco d’azzardo (misurato tramite ELMO-GA) (Avanzi, 2013), (m) impulsività (misurato tramite BIS-11) (Fossati et al., 2001), (n) livello di malessere globale (misurato tramite SCL 90 R) (Derogatis, 1994), (o) credenze relative al gioco (misurate tramite GRCS) (Raylu e Oei, 2004) e (p) gravità del disturbo da gioco d’azzardo patologico (misurata tramite SOGS) (Lesieur e Blum, 1987).
L’intervista di follow-up, come si vede in tabella 1, vuole valutare principalmente la presenza/assenza di gioco d’azzardo, tenendo in considerazione il fattore temporale (da quanto tempo c’è astensione), la significatività della sospensione (se quindi il periodo di sospensione è significativo rispetto alla propria storia personale, o, nel caso in cui il paziente non sia astinente da gioco, il suo impegno terapeutico per ottenere questo traguardo). Un altro elemento considerato cruciale da parte degli operatori è stato il grado di fiducia del paziente rispetto al mantenimento o al raggiungimento dell’astensione dal gioco. Infine è stato ritenuto importante valutare il livello complessivo di benessere raggiunto dal paziente, per l’importanza prognostica del raggiungimento di uno stato di equilibrio.
Risultati
Il campione di 106 utenti è costituito da 87 uomini (82%) e 19 donne (18%); l’età media è di 49,11 anni. Rispetto alla tipizzazione di Blacszczynski 41 utenti (40%) sono stati categorizzati come appartenenti alla categoria B1, 41 (40%) alla categoria B2 e 20 alla categoria B3 (20%). Del campione totale 40 utenti hanno la licenzia media inferiore, 13 la licenza elementare, 37 un diploma di scuola superiore, 8 un diploma di formazione professionale e 3 un diploma di laurea. Rispetto alla durata nel gioco nell’arco di vita 40 utenti hanno una storia di gioco breve (1-5 anni), 36 hanno una storia di gioco media (5-10 anni), 16 una storia di gioco lunga (10-15 anni), 12 hanno storia di gioco molto lunga (oltre 15 anni). Rispetto ai giochi d’azzardo principalmente utilizzati, 76 giocano principalmente alle slot machines, 9 alle scommesse sportive, 6 alle VLT e 6 alle scommesse sportive, 3 a poker, 2 al bingo, 2 al 10 e lotto, 1 al superenalotto e 1 in borsa.
Rispetto allo stato mentale emerge una differenza significativa tra donne e uomini (X2= 6,75; p= 0,0094): su 18 donne, 10 hanno un disturbo psichiatrico clinicamente significativo (8 non lo hanno), mentre sugli 87 uomini solo 19 hanno un disturbo psichiatrico clinicamente significativo, rispetto ai 65 che non lo hanno.
Del campione contattato, 79 persone dichiarano di essere astinenti da gioco d’azzardo e 22 di stare tuttora giocando.
All’interno del sottogruppo di persone astinenti 43 persone non giocano da un periodo superiore all’anno, 15 da un periodo compreso tra i 6 mesi e l’anno e 7 da un periodo superiore ai 3 mesi. Sette persone dichiarano di non giocare da un periodo inferiore ai 3 mesi, ma in base alla nostra conoscenza clinica questo periodo è ancora troppo breve per poter parlare di sospensione duratura dal gioco d’azzardo.
Degli utenti che dichiarano ancora un gioco attivo o residuale, 13 sono considerati come in riduzione del danno, 5 sono dropout e 2 sono in uno stato di riduzione del danno con attiva ritenzione in trattamento.
La media di benessere globale delle persone che hanno smesso di giocare è di 7,70/10 mentre quello delle persone che mantengono l’abitudine del gioco è di 5,86/10.
Abbiamo osservato una differenza di età media tra chi ha sospeso il gioco d’azzardo (47,18 anni) e chi lo mantiene (54,90 anni).
Nel nostro campione sembra esserci anche una relazione tra categorie di Blacszczynski ed esito al follow-up: l’86% dei B1 si dimostra astinente, contro il 7% giocatore attivo e il 7% con sospensione da pochi mesi. Nella categoria B2 le percentuali si modificano: il 71% risulta astinente, il 19% è giocatore e il 10% astinente da pochi mesi. Nella categoria B3 le percentuali si ribaltano: la percentuale di persone astinenti scende al 39%, contro il 48% di giocatori e 13% di persone con sospensione da pochi mesi. Parlando di esito non possiamo dimenticare che alcuni casi sono stati risolti “malgrado le cure”, per eventi fortuiti, come ad esempio la morte della suocera convivente con un paziente oppure gli arresti domiciliari di un altro paziente, accusato di spaccio di cocaina.
Conclusioni
Benché le osservazioni che abbiamo presentato siano preliminari a indagini e riflessioni ben più approfondite, dal punto di vista metodologico e clinico abbiamo ritenuto importante monitorare gli esiti del lavoro e iniziare a valutarli. Il lavoro clinico ha già avuto benefici da questo processo di follow-up, assai utile nello stimolare alcune riflessioni interne sui temi quali “guarigione”, “ricaduta”, “esperienza positiva”, con immediate ricadute nell’organizzazione interna del lavoro.
L’équipe di lavoro si è potuta confrontare con una domanda cruciale nell’ambito delle dipendenze comportamentali: che cosa intendiamo quando parliamo di guarigione? L’apparente banalità di questa domanda pone questioni e conflitti di ordine morale, teorico, pratico.
L’équipe ha riflettuto inoltre su alcuni fattori di resilienza: in numerosi casi i pazienti hanno sperimentato scivolate (o addirittura ricadute) all’interno di periodi di astensione che mostrano però l’effetto di migliorare la motivazione e ridimensionare la loro percezione del pericolo. Infine, e in modo non del tutto atteso, abbiamo osservato che i pazienti accolgono entusiasticamente la telefonata di follow-up, riconoscendo l’importanza dei loro percorsi terapeutici e rivalutando positivamente momenti di difficoltà e fatica. Eventuali dubbi sul livello di attendibilità delle risposte di alcuni pazienti sono stati risolti incrociando ciò che dichiarano personalmente e ciò che dicono i loro familiari.
Benché i dati siano al momento stati analizzati solo parzialmente, possiamo osservare un buon esito del trattamento nei pazienti effettivamente presi in carico e confermiamo la prevalenza di esiti positivi per la categoria B1 rispetto principalmente alla categoria B3. Questo dato evidenzia l'importanza prognostica di definire l’appartenenza a un gruppo clinico piuttosto che a un altro. Un punto che necessita di ulteriore approfondimento riguarda la differenza di genere: le donne giocatrici si sono rivelate, infatti, più sofferenti dal punto di vista psichico e meno disposte al cambiamento. Questo dato ha confermato l’opinione clinica degli operatori e ha generato una riflessione sulla necessità di sviluppare proposte terapeutiche specifiche per il genere femminile.
Le diverse idee emerse da questa prima ricognizione di esito hanno portato con sé suggestioni importanti per il lavoro clinico e interesse rispetto all’esito del medesimo: abbiamo guardato crescere la foresta, ma abbiamo osservato anche i singoli alberi. Questo ci rinforza nell’opinione che comunque la fortuna vada aiutata da competenze sempre maggiori e coltivata con lo studio e il confronto con i colleghi: continuare l’aggiornamento personale è un fondamentale investimento per la cura e l’unico modo per influire sull’esito.
Riferimenti bibliografici
Skinner B.F. Scienza e comportamento [1953], Franco Angeli, Milano, 1992.
Cowlishaw S., Merkouris S., Dowling N., Anderson C., Jackson A., Thomas S. (2012). Psychological therapies for pathological and problem gambling. The Cochrane Database of systematic reviews, Issue 11.
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Derogatis, L.R. (1994). Symptom Checklist-90-R: Administration, scoring, and procedures manual (3rd ed.). Minneapolis, MN: National Computer Systems.
Tabella 1. Griglia dell’intervista di follow-up