Alea Bulletin

Bollettino di informazione specialistica in materia di azzardo. La redazione di Alea Bulletin, con periodicità variabile, raccoglie riflessioni, approfondimenti, recensioni, al fine di alimentare il dibattito scientifico e di offrire alla comunità degli operatori che lavorano nel settore informazioni corrette ed aggiornate.

Gambling On The Brain: How Can Neuroscience Add To Our Understanding Of Gambling Behaviour ?

Intervento di Mauro Croce nella tavola rotonda plenaria di apertura Intervento di Mauro Croce nella tavola rotonda plenaria di apertura Gambling On The Brain: How Can Neuroscience Add To Our Understanding Of Gambling Behavior ?

Luke Clark, University Of Cambridge.
Discussant J. Besson CHUV, J.E. Grant, University of Chicago; J.P. Couteron, Federation Addiction, Mauro Croce
Traduzione dal francese di Fulvia Prever

Se l’attenzione nei confronti delle neuroscienze è crescente, ed i risultati incoraggianti, tuttavia non possiamo non osservare come la comunità scientifica e gli operatori appaiano, se mi si concede questa estremizzazione e semplificazione, divisi tra quelli che possiamo definire come neurofobici e quelli che possiamo definire neuromaniaci. Tra chi vede nelle conquiste delle neuroscienze una minaccia, e chi ne vede invece una promessa ed una risposta a molti problemi di cui a fatica cerchiamo una soluzione.

Tra chi non ne vuole sapere di queste cose vedendo nelle neuroscienze solo riduzionismo, determinismo, biologicismo, sospettando le neuroscienze di sottrarre la mente dall’apporto della filosofia, dalla psicologia, dalla sociologia. E pensa che anche quando si giungesse ad oggettivare e descrivere l’insieme dei meccanismi biologici e neurofisiologici delle addiction e del gambling questo non aggiungerebbe molto alla comprensione del significato della sofferenza ed alla possibilità di incontrarla e curarla clinicamente. E tra chi invece ritiene che solo dalla ricerca neuroscientifica si potrà finalmente arrivare alla comprensione ed alla soluzione di questioni complesse.
I limiti di queste posizioni sono evidenti. Ma è proprio nei limiti con i quali le diverse discipline si scontrano che occorre immaginare un possibile superamento della dialettica tra scienza positivista ed approccio fenomenologico.
La ricerca della conferma dei propri metodi e la difesa degli stessi è un vizio peccato non nuovo nelle nostre discipline che talvolta sembra seguano o costruiscano delle mode o delle contrapposizioni tra discipline o sottodiscipline, tra visioni del mondo che talvolta poco hanno a che fare con la scienza. E proprio nelle addiction ed anche nel gambling siamo passati dal biasimare colpevolizzare “blame the victim” il giocatore, il tossico, al “blame the society” o il “blame the family”. Ora sembra siamo nell’epoca del “blame the brain”.
Gerta Reith individua due grossi paradigmi nello studio del gambling: il paradigma interpretativista e quello positivista. Dickerson e Baron da una review della letteratura osservano come il modello prevalente di ricerca appaia sempre più centrato su quello positivista, mentre Suissa, dall’analisi di 13 anni di pubblicazioni del Journal of Gambling Studies ha dimostrato come più del 75% di questi rispondessero ad un postulato causale di ordine organico, genetico, neurologico, psicologico e/o biologico emarginando gli approcci, gli intrecci gli studi tipo economico, antropologico, sociale, storico, culturale. Mentre Mc Gowan in uno studio apparso nel 2004 nel Journal of Gambling Issues dal titolo “How do we know, what we know? Epistemic Tension in social and cultural research on gambling” ha posto la necessità di una ricerca basata sulla maggiore partecipazione delle scienze umane che preveda seriamente di considerare il contesto e non solo l’individuo in modo da offrire modelli interpretativi rispondenti alla complessità dei fattori coinvolti nella pratica del gambling. Una integrazione dei differenti modelli sembra tuttavia necessitare di un cambiamento di livello logico, nella misura in cui ogni approccio sia esso neurobiologico, psicoanalitico, cognitivista, sociologico etc non è sufficiente a compendiare tutta la questione.

Tuttavia altri ritengono che l’alternativa tra universalismo biologico e diversità culturale in materia di gambling, lontana eco del bipolarismo tra Naturwissenshaften e Geistennwissenshaften, non possa essere sanata con acrobazie intellettuali all’insegna del politically correct, volte alla generica integrazione bio-psico-sociale senza specificare che abbiamo a che fare con prospettive epistemologiche e metodologiche incompatibili come ricorda M. Pini.
Io credo che il problema che si pone a tutti in ambito scientifico è quello di costruire teorie che abbiano caratteristiche coerenza di consapevolezza dei propri limiti di applicabilità e possibilmente possano offrire modelli verosimili di interpretazione; incontro con altre discipline e strumenti operativi anche in ambito clinico.
In questo senso ritengo importante riportare il pensiero di Eric Kandel premio Nobel per la medicina ed uno dei più importanti neuroscienziati viventi il quale afferma che se la biologia oggi si trova nella posizione migliore per fornire le risposte ai problemi sollevati dalla memoria e dal desiderio tuttavia le risposte che potrà fornire saranno più significative se create da una sinergia tra biologia e psicoanalisi.
La psicoanalisi entra nel ventunesimo secolo con la sua influenza in declino, scrive Kandel, tuttavia questo declino è da rimpiangere, dal momento che la psicoanalisi rappresenta ancora la visione della mente più coerente e soddisfacente.
Del resto gli studi di Kandel ma anche di Allen Shore così come altri, hanno evidenziato non solo come l’impatto emotivo possa avere delle conseguenze sul cervello producendo delle alterazioni biochimiche. Ma anche come la psicoterapia, al di là delle differenze tra scuole, “possa produrre modificazioni persistenti delle attitudini, abitudini, e comportamenti consci e inconsci, producendo alterazioni nell’espressione genica che portano a modificazioni strutturali nel cervello”.
Il percorso ambiente-mente-cervello acquista quindi un nuovo significato, una nuova complessità, una nuova prospettiva, un nuovo orizzonte di sviluppo.
Vero è che i contributi psicoanalitici sul gambling, non si può non concordare con Kandel, non si sono sviluppati come ci si sarebbe potuto aspettare.
Ma questo probabilmente dipende dal fatto che assistiamo ad un generale ritardo nello studio, nella comprensione, nella clinica di alcuni stati alterati della mente come osserviamo nelle patologie di addiction di cui il gambling fa parte come tardivamente e finalmente è stato riconosciuto nella nuova sistemazione del DSM.

M. G. Dickerson, E. Baron, E., Contemporary issues and future directions of research into pathological gambling. Addiction, 95 (8), 1145-1159, 2000.
A. M. Suissa, Le jeu compulsif. Vérités et mensonges. Editions Fides, Montreal, 1997
E. R. Kandel, A new intellectual framework for psychiatry. American Journal of Psychiatry, 1998 Apr;155(4):457-69.
E. R. Kandel, Biology and the future of psychoanalysis: a new intellectual framework for psychiatry revisited. American Journal of Psychiatry, 1999 Apr; 156(4):505-24.

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    Né mai troverai nulla: questo termine è un neologismo creato da chi guadagna sull’azzardo e quindi fatto rimbalzare ad arte sui mass media e, ahimè, nei documenti governativi. Ludopatia è un termine che non esiste né nei testi scientifici, né nei dizionari di italiano (anche se c’è da scommetterci che presto verrà inserito). Se proprio ci tieni a leggere cose sulla ludopatia, esistono altre pubblicazioni.


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