Recensione a The Wiley-Blackwell Handbook of Disordered Gambling
The Wiley-Blackwell Handbook of Disordered Gambling. - David CS Richard, Alex Blaszczynski, Lia Nower (Editors). - John Wiley & Sons, 2014, Chichester
Blaszczynski e Nower sono ben noti per essere tra i maggiori studiosi delle problematiche azzardo-correlate e per aver proposto, nell’ormai lontano 2002, il famoso modello dei tre percorsi patogenetici. Si comprende quindi l’interesse che suscita l’apparizione di un nuovo testo curato da questi due ‘mostri sacri’. La pubblicazione di una monografia non è certamente una novità assoluta per Alex Blaszczynski, uno dei curatori di un altro bel libro, In the Pursuit of Winning uscito a fine 2007 per la Springer, e autore del manuale di auto-aiuto Overcoming Compulsive Gambling: A Self-help Guide Using Cognitive Behavioral Techniques.
Il nuovo mauale si presenta come un volume consistente, di circa 450 pagine, con copertina cartonata, 20 succosi capitoli e un costo non irrilevante di 142 euro di listino. L’elenco dei contributors, curatori a parte, offre una nutrita rappresentanza di quanto di meglio esiste nel panorama della ricerca sul gambling. Abbiamo quindi lavori di Shaffer, Derevensky, Griffiths, Delfabbro, Ledgerwood, Williams, Volberg, e altri ancora. L’obiettivo del Manuale è, a detta dei curatori, di aggiornare il lettore sulle ricerche e le loro ricadute in campo clinico. Il testo non si rivolge solamente agli esperti, ma anche a coloro che per la prima volta approcciano il tema, proponendosi quindi come uno strumento anche didattico: di fatto una raccolta di review sulle diverse componenti del quadro del disturbo correlato all’azzardo.
Benché non evidenti alla prima occhiata, il Manuale si compone di alcune sezioni logiche che conducono il lettore ad un progressivo approfondimento: i primi capitoli hanno la funzione di illustrare i fondamenti della clinica del gioco d’azzardo patologico: diagnosi, epidemiologia, neurobiologia, fattori di rischio, interazione tra azzardo e tratti di personalità.
La seconda sezione affronta il problema della diagnosi, dei trattamenti e delle politiche di riduzione del danno: dall’approccio alla complessità bio-psico-sociale del caso, ad una review sugli strumenti per l’assessment, alla trattazione della terapia cognitivo-comportamentale. Quest’ultima riceve una attenzione particolare, visto anche il diretto interesse dei curatori per questa materia. Non manca poi un capitolo dedicato all’approccio dei 12 passi. Un lavoro illustra il modello CARE per lo sviluppo o rafforzamento delle relazioni tra industria, governo e strutture sanitarie al fine di animare centri informativi ed educativi all’interno dei casinò. Ahimè, per noi in Italia il solo fatto che il governo non sieda a fianco dell’industria, ma si proponga come un regolatore terzo, è ancora un sogno. È interessante il capitolo conclusivo di questa seconda sezione, dedicato ai fattori che influenzano e si correlano all’esito dei trattamenti.
La terza ed ultima sezione tratta aspetti particolari del gambling: l’azzardo giovanile, il ruolo delle tecnologie digitali e mobili, l’azzardo su Internet, l’azzardo negli anziani, gli aspetti legali e finanziari (che ovviamente non sempre troveranno corrispondenza nella legislazione italiana) e infine un contributo piuttosto curioso e inedito sugli effetti della nutrizione sul disturbo da gioco d’azzardo e sugli aspetti psicopatologici che possono sostenerne la comorbilità. Conclude una riflessione sulle prospettive della ricerca e i quesiti ancora irrisolti, un capitolo conclusivo canonico, ma che è una buona occasione per toccare alcuni argomenti rimasti fuori dalle review precedenti.
Il volume è aggiornato al DSM-5 che, come è noto, ha modificato sensibilmente i criteri diagnostici del DSM-IV (portandoli da 10 a 9), la soglia (da 5 a 4 criteri), la denominazione e la classificazione (disturbo da gioco d’azzardo nel capitolo delle dipendenze). Tuttavia, come sottolineano giustamente i curatori, ancora per molto tempo ricercatori e clinici si troveranno ad utilizzare entrambi i sistemi diagnostici.
Benché il campo del disturbo da gioco d’azzardo rappresenti una minuscola frazione della psichiatria clinica, anche un manuale profondo e accurato come quello di Richard, Blaszczynski e Nower non è in grado di coprirne tutti gli aspetti della ricerca e della clinica. Il più illustre assente è probabilmente il farmaco: non c’è alcun capitolo che tratti in modo esauriente la farmacoterapia del giocatore. Probabilmente in questo Manuale è stato scelto di dare alla farmacoterapia ottiene quello che attualmente vale, ovvero zero niente: una scelta coraggiosa dei curatori. In compenso non manca un approfondimento sulle ricerche neurobiologiche e neuropsicologiche riassunte in un capitolo estremamente denso, curato da alcuni colleghi olandesi.
Oltre ai farmaci, ulteriori assenze eccellenti sono rappresentate dalle psicoterapie, eccezion fatta per quella cognitivo-comportamentale, ormai onnipresente. Forse avrebbero meritato più spazio gli approcci dell’area psicodinamica, non fosse altro che per il loro largo utilizzo non solo a livello di terapeuti individuali, ma anche in strutture residenziali o centri diurni. Anche l’approccio familiare e gruppale (ad eccezione dei gruppi dei 12 passi) vengono purtroppo trascurati. Ma tant’è: la Evidence Based Medicine esige le sue vittime sacrificali. In ogni caso alcuni approcci terapeutici ‘minori’ vengono trattati brevemente nel capitolo finale.
Più grave a mio giudizio, è l’assenza di una seria discussione sulle strategie terapeutiche integrate e i programmi multidimensionali. La motivazione di questa assenza è probabilmente complessa: infatti i trattamenti erogati in Paesi diversi dal nostro possono facilmente mancare della ricchezza professionale, delle strutture e delle esperienze che caratterizzano il sistema integrato dei servizi privati e pubblici italiani. All’estero i trattamenti per le dipendenze spesso si configurano attorno a tre pilastri fondamentali: a) il farmaco, laddove indicato, b) il counselling o la terapia cognitivo-comportamentale erogati secondo cicli di breve durata, c) i gruppi di self-help, soprattutto i gruppi dei 12 passi. Sebbene sia diffusa la convinzione che i trattamenti complessi ed integrati siano da preferirsi, pochissimi sono gli studi che ne valutano realmente l’efficacia, se non altro per la complessità del disegno sperimentale che richiederebbero. Proprio per questo motivo va precisato che anche altri trattati sul gambling non offrono di meglio su questo punto.
Un altro tema parzialmente assente è la prevenzione. È vero che un intero capitolo è dedicato alla discussione di un modello (il modello CARE) che dovrebbe ispirare le politiche di gioco responsabile. Tuttavia è altrettanto vero che la prevenzione si articola in modalità che non sempre vanno identificate con il gioco responsabile, che spesso individua azioni di limitazione del danno.
Uno dei punti di forza del Manuale è rappresentato dall’attenzione dedicata alle cosiddette popolazioni speciali: sia l’azzardo giovanile che quello senile trovano un loro spazio autonomo, e così pure il gioco femminile. In quest’ultimo caso il titolo del capitolo (Il trattamento cognitivo-comportamentale del gioco problematico femminile) appare addirittura riduttivo e non rende giustizia dell’ampio spazio dedicato alla discussione delle differenze di genere nel gioco patologico.
In conclusione mi sembra che il lavoro di Richard, Blaszczynski e Nower meriti un giudizio senz’altro positivo. È raccomandato agli operatori impegnati nella presa in carico di giocatori patologici. Tali professionisti generalmente non hanno il tempo sufficiente per reperire e leggere tutta la letteratura scientifica prodotta sulle diverse problematiche correlate all’azzardo, ragion per cui un testo in grado di ben rappresentare lo stato dell’arte è preziosissimo. E con simili curatori la qualità è garantita.