Recensione di “To play or not to play: A personal dilemma in pathological gambling”
Normalmente si tende ad avere una preferenza a evitare le perdite piuttosto che scommettere per guadagni maggiori, ma nel caso dei giocatori d’azzardo patologici, le ricerche dimostrano che questi fanno scelte peggiori rispetto agli individui non patologici in condizioni di rischio e incertezza (Ladouceur e Waler 1996, Bechara, 2003, 2005). Nella ricerca qui presentata, svolta in collaborazione tra la SIIPaC e l’Università di Trento, si è investigata l’avversione alla perdita utilizzando un rigoroso paradigma nel campo economico, in congiunzione ai risultati di tratti personali e misure riportate dagli stessi giocatori in trattamento clinico. La comparazione è avvenuta tra 20 giocatori in trattamento e altrettanti non giocatori. I giocatori patologici sono stati ulteriormente differenziati per la lunghezza del trattamento: quelli alle fasi iniziali (<6 mesi) o alle fasi successive (>18 mesi).
Il compito era quello di accettare o meno una scommessa sul lancio di una moneta (probabilità di vittoria del 50%) con un ammontare variabile di guadagni e perdite per un totale di 256 prove. Inoltre sono state misurate, tramite questionari autosomministrati ( South Oaks Gambling Screen, SOGS - Lesieur and Blume 1987, Pathological Gambling Yale Brown Obsessive Compulsive Scale, PG- YBOCS - Hollander et al. 1998, The behavioral inhibition and the behavioral activation scales, BIS/BAS - Carver and White 1994, Barratt Impulsiveness Scale version 11, Bis-11, Patton et al.1995, Positive and Negative Affect Scale, PANAS, Watson et al., 1988, STAI-Trait, STAI1, STAI-State , STAI2,Spielberger et al., 1983) l’impulsività e altre variabili psicologiche. Le differenze che si sono riscontrate mostrano che i giocatori patologici, in particolare coloro che erano trattati da più tempo, mostravano una maggiore avversione alla perdita. Questo risultato è stato ottenuto somministrando il test del lancio della moneta; infatti i giocatori patologici accettavano un numero minore di scommesse con un valore atteso positivo, anche se i tratti di impulsività rimanevano maggiori rispetto ai soggetti sani. Nei questionari auto- somministrati non si riscontravano differenze tra i due tipi di giocatori patologici, con in entrambi i casi una maggiore propensione all’approccio alla ricompensa e maggiore impulsività. Le reazioni comportamentali che richiedono una presa di decisione veloce e difficile da verbalizzare potrebbero essere utili indicatori delle differenze nel trattamento, mettendo in luce l’utilità differenziale di questi diversi strumenti. Grazie a questi risultati si può inferire che il comportamento di gioco può essere ridotto grazie al trattamento clinico. Il trattamento servirebbe infatti a modificare il comportamento di presa di decisione, migliorerebbe l’attenzione in relazione a quali scommesse fare e farebbe anche crescere la sensitività alla perdita. Quest’ultimo meccanismo cognitivo potrebbe portare all’astensione dal gioco, sebbene vi siano presenti anche altre variabili psicologiche e neurali (ipoattivazione prefrontali) responsabili del peggioramento nelle abilità di presa di decisione. Questi dati possono essere integrati alla letteratura scientifica al fine di mostrare l’utilità della terapia in questo particolare tipo di patologia. Infatti non permetterebbe solo di tornare a un funzionamento normale, ma anche di acquisire una consapevolezza maggiore rispetto alla media sui rischi che può portare un comportamento azzardato, diventando così più cauti rispetto a persone in situazioni normali.
C. Giorgetta, A. Grecucci, A. Rattin, C. Guerreschi, A. G. Sanfey, N. Bonini; “To play or not to play: A personal dilemma in pathological gambling”. In: PsychiatryResearch, pp. 562–569, Published online: June 27, 2014.