Orthos: Programma Residenziale di Psicoterapia Intensiva per Giocatori D’azzardo
Il presente contributo riporta i risultati emersi da una ricerca sugli outcomes dei primi cinque anni di sperimentazione del trattamento in ambito residenziale del Programma Orthos per giocatori d’azzardo patologico. Il nostro Paese si distingue per la ricchezza di trattamenti ambulatoriali e residenziali mirati al superamento delle condizioni di tossicodipendenza.
{jcomments on}Tale condizione patologica è collegata nella stragrande maggioranza dei casi alla dipendenza da eroina e, in minor misura da cocaina e alcool. Mancano allo stato attuale risorse di trattamento per altre patologie che, pur avendo all’origine una struttura di personalità predisposta alla dipendenza (addiction prone personality), si diversificano in una gamma di diverse espressioni fenomeniche che vanno dal gioco d’azzardo patologico, alla sex addiction, all’abuso di Internet, all’abuso di ecstasy, cocaina ed altri stimolanti.
Per tali condizioni morbose, risultano talvolta insufficienti sia gli inter- venti medico-psicologici in ambito ambulatoriale offerti dai Ser.T., per la scarsa incisività in situazioni di comportamento compulsivo grave ed inveterato, sia di tipo comunitario a causa dei lunghi periodi generalmente previsti per i programmi di recupero.
La tipologia dei “nuovi dipendenti” si esprime inoltre in una gamma estremamente diversificata a livello sociale, culturale, di età e di censo ren- dendo difficile un inserimento in contesti terapeutici predisposti per popolazioni target assai più omogenee e quindi meno adatte ad immissioni da parte di soggetti con storie personali e problematiche socio- adattive diverse e fortemente diversificate.
Ne deriva un forte disagio nella possibilità di offrire utili e realistici sbocchi terapeutici in situazioni che, seppure non ricalcano la devastante drammaticità di quadri di eroinomania primaria, comportano comunque forti elementi di sofferenza psico-adattiva ai singoli, alle famiglie ed alla collettività. Si rende pertanto urgente sviluppare nuove forme di intervento che si confrontino con la recente evoluzione dei quadri patologico collegati alle nuove forme di dipendenza e che abbiano, a mio parere, le seguenti caratteristiche:
Essere di durata più breve e comunque tale da rendersi compatibile con la permanenza di un inserimento nel tessuto sociale, lavorativo e familiare del soggetto;
Avere una alta specificità di intervento sulla patologia specifica;
Dotarsi di programmi a prevalente orientamento psicoterapico, più che medico, e articolati in modelli intensivi e fortemente strutturati al fine di poter incidere in profondità, pur in un arco di tempo limitato, sul comportamento disadattivo e sui nuclei problematici della personalità del soggetto;
Prevedere una fase diagnostica accurata di intake in collegamento con i servizi sul territorio;
Prevedere una fase di accompagnamento e consolidamento del lavoro psicoterapeutico collegato alla fase residenziale che sia sufficientemente strutturata e tale da non vanificare i risultati ottenuti (Zerbetto, 2010).
Su tali linee progettuali è stata avviata una sperimentazione a partire dalla 2007 su proposta della Associazione Orthos e finanziata dalla Regione Toscana nel contesto delle misure previste dal capitolo “Prevenzione e contenimento del gioco d’azzardo problematico e promozione di azioni mirate al sostegno di una adeguata cultura del gioco” Delibera N. 918/2004.
A seguito della Valutazione favorevole sugli esiti della sperimentazione ad opera della Commissione nominata dalla Regione Toscana, il Progetto è stato rfinanziato anche per il 2008 per complessivi 24 utenti provenienti dalla Regione Toscana con Decreto n. 1687/2008 avente per oggetto il "Piano Integrato Sociale 2007-2010. Interventi riferiti alla popolazione con dipendenze e con forte marginalità sociale". Per la sua “messa a norma” si rende tuttavia indispensabile l’inclusione della ludopatia tra i LEA (livelli essenziali di assistenza), provvedimento che il Decreto Balduzzi (...) ha contemplato senza tuttavia prevedere alcuna copertura finanziaria per sostenere i costi di prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti coinvolti nel gioaco d’azzardo problematico. Anche a livello regionale, il Progetto Orthossi inserisce in modo anticipativo e coerente nelle linee prevista dal Piano Integrato Sociale Regio- nale 2007-2010 dove, al punto 7.12 “La prevenzione e cura delle condotte di abuso e delle dipendenze” si prevede come: “Il fenomeno delle dipen- denze da sostanze illegali e legali (alcool, fumo, farmaci) e delle nuove forme di dipendenza pato- logica non correlata all’uso di sostanze, per la sua vastità e problemati- cità, per la natura di “patologia cronica e recidivante”, nonché per la rapidità e mutevolezza delle forme di approccio e assunzione che investono strati sempre più rilevanti della popolazione, abbisogna di uno sforzo di intervento capace di adeguarsi ed articolarsi in forme e misure anche diverse tra loro, di essere presente sull’intero territorio regionale, di garantire continuità agli interventi, di esprimere capacità di innovazione senza abbandonare le prassi e i metodi di inter- vento già collaudati”. A questi pronunciamenti di carattere programmatico non sono seguiti, tuttavia, atti di valore normativo adeguati a creare le condizioni per una messa a regime di nuovi strumenti di cura per affrontare le dipendenze comportamentali. ci auguriamo che detti interventi non tardino e che l’esperienza raccolta in questi anni non vada perduta, ma valga a mettere a disposizione della società attuale strumenti di cura adeguati alle mutate forme di patologia dalle quali è interessata. Il Progetto viene presentato sul sito: www.orthos.biz.
PRESENTAZIONE DEL PROGETTO ORTHOS
Nella sintesi che segue vengono riportati gli elementi costitutivi di un approccio terapeutico innovativo sia nella filosofia di riferimento che nei metodi adottati
FILOSOFIA DI RIFERIMENTO
Il nome del progetto, Orthos, nasce da un appellativo attribuito a Dioniso nella cultura greca classica. Orthos è “colui che sta in piedi” che non è reclinato (da cui cliente) o abbandonato passivamente (da cui paziente) a se stesso e non dipende quindi da altri nel reggersi sulle proprie gambe. Il riferimento, per quanto implicito, a Dioniso indica inoltre la scelta filosofica di fondo, all’origine del presente Progetto, di non demonizzare di per sé una inclinazione al piacere quanto l’importanza di contestualizzare all’interno di una costellazione di valori e non di disvalori tale legittima aspirazione dell’essere umano (Zerbetto, 2004).
C’è tuttavia un passaggio critico nel quale il piacere sconfina nel dis-piacere. Legge questa che possiamo riscontrare puntualmente nei disturbi alimentari, nell’uso di bevande inebrianti, nel gioco e nella pratica sessuale. Non è quindi nel perpetuare un’ontologica contrapposizione, ma nell’esplorare ed affinare l’arte del buon vivere che possiamo perseguire quella pratica di autoapprendimento, di messa a fuoco del confine critico che ognuno porta in sé inconsciamente e che dobbiamo far emergere a livello adulto e consapevole.
Non è una cronica coscienza di peccato (come nella vecchia tradizione moralistica) o peggio ancora di malattia incurabile (proposta dalla filosofia degli Alcolisti Anonimi) che può darci le premesse per una ricerca empiricamente scientifica ed antropologicamente coerente con una tradizione millenaria di possibile coesistenza con fattori dipendentogeni con i quali l’umanità da sempre si è trovata a confrontarsi. A questa sapienza millenaria si deve attingere superando il tragico empasse nel quale ci costringe una mentalità di derivazione prioritariamente statunitense all’insegna di un insanabile contrapposizione tra eccesso e rigorismo proibizionistico (Zerbetto, 2002).
In altre parole non è necessario introdurre ed enfatizzare un ontologica contrapposizione tra principio del piacere e “di realtà”, secondo una prospettiva che la stessa psicoanalisi fa propria salvo rispecchiare una tradizione millenaria di orientamento spiritualistico a partire dalla con- trapposizione tra anima (psychè) e corpo (soma) di platonica memoria sino a S. Paolo (“vedo ciò che vorrei fare e faccio ciò che non voglio”) e all’esistenzialismo kierkegaardiano. Giova, semmai, ricordare l’indicazione del filosofo Epicuro – in genere ingiustamente sottovalutato – che ci ricorda come il senso della misura (coerentemente all’etica greca del “metron ariston”, del fatto cioè che la cosa migliore sta appun- to nella misura) è intrinseco alla logica del piacere e non ad essa con- trapposto. C’è infatti un acmè nella curva di Gauss delle esperienze di piacere (vedi l’assunzione di alcolici) oltre la quale il piacere, appunto, si trasforma in sofferenza.
Se il gioco rappresenta una attività intrinseca alla dimensione dell’uomo e quindi non marginale, risulta conseguentemente difficile eradicarlo com- pletamente dall’individuo o dalla società. Se tale discorso è vero in generale, lo è in particolare per persone che, per vari motivi di carattere psicologico, genetico o socio-culturale, risultano particolarmente predi- sposte alle attività di gioco. L’unica strategia realistica in nostro posses- so è quindi quella di non estremizzare una dialettica gioco-non gioco che, seppure utile ed inevitabile in certe fasi della vita (come lo può essere il digiuno) non può realisticamente rappresentare sempre la soluzione definitiva. Si tratta quindi di confrontarsi con il tema del “giusto equilibrio” in una ricerca sofferta e paziente che consenta di riportare sotto controllo un comportamento che tendenzialmente a questo controllo è sfuggito. In casi estremi questo tentativo è destinato a fallire e, analoga- mente a quanto può dirsi per un diabetico grave, non c’è nessuna possibilità di “convivere con gli zuccheri”. In molti casi, tuttavia, tale riequilibrio è possibile e risulta quindi più appropriata una strategia terapeutica che si proponga obiettivi più realistici e moderati che più irrealistici e radicali. Secondo tale orientamento, recepito anche da molti programmi di recupero, non esiste nessuna possibilità di mediazione tra comportamento astinente e comportamento orientato al gioco eccessivo dal momento che, sempre secondo questa impostazione, anche un minimo compromesso con una attività di gioco, come anche giocare una schedina al totocalcio, farebbe scattare la molla di un ritorno a forme di gioco incontrollate analogamente a quanto un mezzo bicchiere di vino farebbe ripiombare l’alcolista nel baratro del bere fuori controllo.
Nella prospettiva filosofica come nella metodologia applicativa ci siamo quindi orientati alla promozione dei seguenti principi:
nella salvaguardia di criteri generali di indirizzo, la terapia si esprime in modo “personalizzato” e tale da tener conto delle specifiche caratteristiche di ciascun Utente la astinenza totale viene generalmente raccomandata come regola che si giustifica per la vulnerabilità di fondo alle ricadute che comun- que permane in un soggetto che è incorso in forme gravi di gioco compulsivo.
la totale astinenza dal gioco viene richiesta per una prima fase del programma successivo alla cura (minimo da tre mesi a un anno) salvo prendere in considerazione, successivamente, forme di gioco “controllato” che, per definizione, non significa solo “auto- controllato” ma monitorato con l’intervento di un familiare o persona vicina che mantenga un monitoraggio vigile sull’andamento del gioco controllato stesso
l’intervento di Orthos si definisce, tendenzialmente, con finalità curative di tipo “causali” e non “sintomatiche”. Abbiamo infatti verificato per consolidata esperienza come la ricaduta nel GAP rappresenta l’espressione di un disagio o di una perdita di controllo generalmente collegata a periodi di difficoltà, ad una struttura personologica, ad uno stile di vita o ad una costellazione valoriale che rappresentano il vero obiettivo dell’intervento terapeutico al di là del sintomo del quale, comunque, è necessario farsi carico in una prima fase dell’intervento terapeutico.
DESTINATARI
Sono soggetti di ambo i sessi e di maggiore età che risultano sostanzial- mente inseriti nel tessuto socio-economico e che ancora dispongono di una rete minima di legami familiari. Il Progetto si rivolge a soggetti con personalità non fortemente compromesse da elementi caratterologici disturbati ed una forma di dipendenza non gravemente invalidante. La eventuale rilevanza dei carichi penali viene valutata caso per caso. L’impostazione fortemente orientata alla responsabilizzazione dei residenti non consente l’accettazione di soggetti affetti da patologie di tipo grave, sia sul versante delle dipendenze multiple che dei disturbi di personalità.
Tale programma è destinato in particolare ai “giocatori patologici non patologici e ai “giocatori emotivamente disturbati” secondo la classificazione di Blaszczynski (2000)
LE FIGURE PROFESSIONALI
Lo staff è attualmente rappresentato da: un direttore del Programma con funzione di psicoterapeuta supervisore, due coordinatori organizzativi, uno, due psicologi-psicoterapeuti, un consulente psichiatra, sei counse- lors, un arte-terapeuta psicologo e un ludo-arteterapeuta, un operatore di supporto per le attività lavorative e di manutenzione, un operatore culturale per l’aspetto psicoeducativo, di stimolo alla crescita culturale e di allargamento della prospettiva esistenziale, un referente amministrati- vo e un consulente finanziario. Allo staff, che garantisce una presenza media di 4 operatori, si aggiungono minimo due tirocinanti con funzione di raccolta della documentazione sullo sviluppo del lavoro clinico.
OBIETTIVI DELL’INTERVENTO
Alla luce di quanto sintetizzato a proposito della filosofia di intervento, gli obiettivi terapeutici si identificano nei seguenti punti:
ricostruire attraverso una rivisitazione della storia personale l’instaurarsi di fenomeni di fissazione nella crescita psico-emotiva che hanno messo in atto e successivamente perpetuato meccanismi disrego- lativi della capacità di adattamento creativo e di realizzazione di un soddi- sfacente life project
riappropriazione (reowning) delle componenti emozionali, cognitive, rela- zionali e comportamentali disfunzionali assumendone la personale re- sponsabilità come individui adulti evitando la proiezione di comodo su situazioni esterne, il mondo o gli altri
analisi della attuale situazione disregolativa negli investimenti libidici ed esplorazione delle alternative da perseguire per elaborare un più soddi- sfacente progetto di vita.
LE COMPONENTI DEL PROGRAMMA TERAPEUTICO
Si riportano in sintesi alcuni degli elementi peculiari del Programma:
a) Interrompere i comportamenti compulsivi: ovvero interrompere, a livello concreto oltre che simbolico, il ripetersi di comportamenti coattivi ed autolesivi; questo attraverso la creazione di un contesto teso a favorire l’auto-osservazione, la analisi esistenziale, il confronto con i compagni di corso. Trova senso in questa prospettiva la collocazione in una casa colonica della campagna senese. La sua particolare ubicazione consente un piacevole soggiorno ai pazienti in un ambiente tranquillo e confortevole dotato di stanze da letto, spazi comuni, biblioteca specializzata e ambienti per lo studio, ambiente per le attività terapeutiche, atelier per le attività di espressione artistica e corporea, spazi per attività occupazionale e lavoro al computer;
b) Vivere secondo natura: dove vivere ‘secondo natura’ rappresenta la metafora di una ricerca di elementi essenziali e ‘costitutivi’ del vivere al di là dei moduli spesso alienanti della urbanizzazione; un ritorno al ‘naturale’ per sottrarsi ad un eccesso di ‘virtualità’, tipica del nostro tempo, dove le simulazioni del gioco, di realtà virtuali e fittizie hanno spesso il sopravvento sulla dimensione reale;
c) Affrontare il vuoto e la nostra “ombra”: in tale contesto è infatti possibile affrontare quell’horror vacui, a cui tanti comportamenti assuntivi si riconducono, perché stare con il ‘vuoto’ può rappresentare quel punto di svolta da una continua fuga dalla propria ombra verso una ritrovata familiarità con se stessi, le proprie paure, i propri mostri persecutori che tali non sono più se solo c’è la possibilità di essere aiutati ad affrontarli e a conoscerli con l’aiuto di un terapeuta formato e di compagni di viaggio con cui condividere l’esperienza di un nuovo incontro con se stessi;
d) una più agevole possibilità di impegno lavorativo per alcune ore al giorno, a contatto con aspetti della natura da cui trarre un nutrimento estetico, emozionale e, perché no, spirituale;
e) fermarsi e fare il punto sul personale percorso esistenziale; di qui la possibilità di affrontare i nodi esistenziali irrisolti, avendo a disposizione finalmente quel tempo e quella concentrazione che servono con l’aiuto di persone che a questo compito hanno dedicato la loro professione; rivisi- tare il proprio percorso di vita cogliendone luci ed ombre per farne un bilancio che permetta al giocatore di sanare ‘il rosso’ che è stato accumulato non solo a livello economico ma soprattutto affettivo e recuperare quei valori su cui poter reimpostare una esistenza piena e soddisfacente;
f) per non ripetere gli stessi errori e poter riprendere un percorso evolutivo: gli obiettivi terapeutici si possono sintetizzare in un’esplorazione della storia personale e nell’identificazione di eventuali disturbi della personalità che hanno originato e successivamente perpe- tuato l’incapacità di regolare i propri impulsi e di realizzare un soddisfa- cente progetto di vita, nella riappropriazione delle componenti emozio- nali, cognitive, relazionali e comportamentali assumendone la personale responsabilità come individui adulti e evitando l’attribuzione a situazioni esterne (locus of control esterno);
g) focalizzazione sulla situazione economico-lavorativa con un pro- gramma di rientro da eventuali situazioni debitorie e di reinvestimento su possibili prospettive di lavoro; tale compito consiste in un vero lavoro applicato alla analisi, ristrutturazione, riprogrammazione di diversi aspetti inerenti la propria vita personale, passando da quello lavorativo a quello affettivo o dell’uso del tempo libero. Il programma scritto sul Life Project diventa anche oggetto del confronto nelle successive verifi- che previste per il periodo post-residenziale;
h) uno specifico lavoro sul pensiero magico: tra le varie attività di gruppo, una è dedicata ad elementi di carattere informativo su aspetti meno conosciuti del gioco (teorie matematiche, etc.), come ad aspetti squisitamente cognitivi che recentemente sono stati individuati all’origine di comportamenti compulsivi. Sia le ricerche in ambito analiti- co di Freud (1927) e di Bergler (1957) che di Ladouceur in ambito cogniti- vistico (Ladoucer & Walker, 1996; Ladoucer et al., 2003), hanno eviden- ziato l’importanza del “pensiero magico” nel sostenere comportamenti sostenuti da meccanismi apparentemente irrazionali, ma alimentati da una logica parallela che rischia di determinare le scelte del giocatore o di altre forme di patologia collegata alla dipendenza.
i) rivisitazione della storia affettiva ed analisi dei possibili meccanismi di compensazione della possibilità di impostare soddisfacenti rapporti di intimità o relazioni costruttive; il giocatore patologico risulta spesso solo (single o separato) o coinvolto da relazioni intense ma tempestose e prive di quelle caratteristiche che consentano la costruzione di rela- zioni affettive profonde e durature. In alcuni casi, si evidenziano situa- zioni di dipendenza affettiva con elementi di forte ambivalenza e conflit- tualità. L’opportunità per una riflessione sulla vita affettiva rappresenta così uno degli elementi più importanti del programma, come pure quello di verificare la componente di “alessitimia”, di difficoltà, cioè, a familia- rizzare con il mondo emozionale e degli affetti. In questa prospettiva seppur muovendosi in un contesto (setting) di gruppo, l’attenzione è quella di mantenere una metodologia che privilegia la traiettoria di ogni singolo individuo nel percorso terapeutico.
m) Attraverso l’adozione di tecniche specifiche viene, quindi, enfatizzata l’importanza di procedere in cordata nel difficile percorso “sul ghiaccia- io” pieno di insidie e di possibilità di perdere il controllo e ricadere. Lo stesso programma terapeutico inizia e si conclude con gruppi di utenti ben definiti i quali compiono in modo solidale e sincrono il percorso previ- sto e non prima di un esplicito committment reciproco sulla determina- zione di portare a compimento il percorso che si intende intraprendere.
LE FASI DEL PROCESSO TERAPEUTICO
la fase dell’intake
Tale fase viene svolta presso i SerT della regione Toscana o di altre re- gioni da cui sono stati inviati gli Utenti.
Per coloro che hanno avuto le informazioni tramite Internet o dalla stam- pa, si svolge presso la sede ambulatoriale del progetto Orthos che, allo stata attuale, dispone di riferimenti a Roma, Milano e Siena.
La sede della programma residenziale di “Noceto” è sita nel comune di Monteroni d’Arbia (Siena). Tale fase prevede uno o più colloqui necessari per raccogliere: dati socio-anagrafici, anamnesi personale e familiare, test di personalità e specifici sul gambling e analisi motivazionale ad intraprendere il programma in oggetto
fase del trattamento residenziale di 21 giorni
Tale programma prevede un intervento intensivo di tre settimane ed un lavoro di full immersion estremamente strutturato in ambito residenziale nel quale le diverse fasi del percorso terapeutico vengono strutturate secondo 12 aree di criticità che vengono affrontate in modo specifico
fase dell’accompagnamento e dei richiami
Tale fase prevede un attento monitoraggio sulla fase del reinserimento sociale, familiare e lavorativo.
Al completamento del programma residenziale segue un incontro di 2 giornate, dopo 3 mesi dal trattamento intensivo, di richiamo per l’approfondimento di problematiche residue o sopravvenute e, per ultimo, incontri di una o due giornate di trattamento intensivo di mantenimento a distanza per un periodo minimo di un anno. Con l’esperienza, si è deciso di garantire agli utenti anche degli incontri mensili presso la sede della comunità nei pressi di Siena, a Milano per gli utenti del Nord Italia e a Roma per il Centro-Sud. Questo, ovviamente, in aggiunta agli incontri regolari che gli utenti portano avanti con gli operatori dei SerT laddove si sia stabilito un soddisfacente rapporto terapeutico, cosa che ovviamente gli operatori di Orthos raccomandano strenuamente di perseguire.
LE COMPONENTI STRUTTURALI DELL’INTERVENTO TERAPEUTICO E LO SVOLGIMENTO DELLA GIORNATA IN COMUNITÀ
Prendersi cura di sé
La giornata inizierà con la cura della persona, del posto letto e della stanza unitamente ad altri compagni se condivisa. La cura di sé, nei due aspetti citati, ha un valore metaforico oltre che pratico ed economico (nel senso di consentire una riduzione dei costi di ospitalità). Ha infatti il significato di verificare e rinforzare lo stato di crescita personale inteso come condizione di autonomia e non-dipendenza da persone cui delegare il compito l’onere dell’accudimento.
Il dare-e-il-ricevere
Secondo un programma concordato in precedenza, ognuno si occupa dell’apparecchiatura, della preparazione degli ingredienti e del lavaggio delle stoviglie. Ognuno dei residenti si trova nella condizione di dare-e-ricevere avendo la possibilità di rispecchiarsi nella tendenza a isolarsi pensando solo a se stesso evitando di prendersi cura anche degli altri realizzando, nel piccolo, la dimensione del “noi” come condizione essenziale per una dimensione solidale e condivisa del vivere.
Pratica di autoascolto e auto osservazione
Dalle 9 si tiene una pratica meditativa di autoascolto e autoosservazio- ne. Ognuno sarà invitato ad esplorare la possibilità di stare con se stes- so o a sostenere la fatica e la paura del farlo nel caso non avesse svi- luppato nella sua vita una consuetudine minimale a “stare con le proprie “cose” (sentimenti, fantasie, timori, emozioni negative, pensieri). A tale momento viene riservato un grande significato e non potrà quindi essere eluso se non in casi effettivamente eccezionali. Molti dei comportamenti assuntivi sono determinati dalla compulsione a “riempire un vuoto” psichico. Tale horror vacui è quindi all’origine di acting out sotto forma di comportamenti compulsivi (agiti) e anancastici (determinati da meccanismi coattivi e non determinati da libera scelta) con le conseguenze ben note.
Programmare la giornata
Segue un breve incontro di programmazione della giornata. Anche in questo caso, al di là degli aspetti organizzativi che si presentano impre- scindibili in una dimensione associativa di vita, si tratta di mettere a fuoco la capacità di non “vivere alla giornata” ma di strutturare il tempo in modo utile e produttivo evitando spazi morti ed inutili perdite di tempo. Se” l’ozio è il padre dei vizi”, come un antico proverbio ricorda, è nella capacità di non lasciare tempi “morti” (da non confondere con quelli dedicati al piacere ed al relax) la possibilità di non sciupare il dono prezioso del tempo che ci è dato da vivere.
Lo studio
Occasionalmente viene riservato un tempo allo studio. Da soli o in piccoli gruppi, se non assistendo a lezioni o conferenze di esperti su diversi temi inerenti la problematica in oggetto, viene prevista l’opportunità di una crescita anche culturale ed informativa sui molti aspetti collegati alla patologia da affrontare. Tale aspetto ha anche il significato di favorire un percorso autonomo di affrancamento da aiuti esterni e quindi di assimilazione di strumenti utili a procedere con risorse autonome. Da parte dei responsabili della comunità vengono forniti testi, utili a sostenere tale processo di apprendimento.
Il lavoro
Due ore dalle giornata, a seconda della stagione, vengono riservate ad una applicazione lavorativa di carattere prevalentemente fisico. Osservando un programma di lavoro settimanale, i residenti si occupano di: lavori domestici (manutenzione degli spazi comuni), partecipazione alla preparazione dei pasti, giardinaggio, accadimento degli animali domestici o di allevamento, manutenzione degli immobili (tinteggiatura, riparazioni etc.), lavori di segreteria (fotocopiatura, scrittura, ricerche su Internet etc). Le forme di lavoro proposto avranno anche il significato di una riconciliazione con aspetti concreti della vita con cui spesso il soggetto aveva perso la consuetudine rifugiandosi una dimensione di “realtà virtuale” fittizia ed estraniante.
I pasti
Un occasione non solo necessaria alla propria alimentazione, ma anche di scambio, di confronto, di gioco e di crescita nelle relazioni interpersonali. Anche in questo caso si tratta di dare “anima” alle cose che si fanno, fossero anche semplici e routinarie. Anche la cura del cibo viene affidato all’apporto creativo dei residenti che, sotto il coordinamento di un operatore a questo designato, si impegnano a turno per proporre ricette conosciute e tipiche della terra da cui provengono.
Il riposo
Dopo il pranzo si prevede un’ora di riposo che ognuno gestisce a piacere, vuoi ritirandosi nella propria stanza per una “pennica”, vuoi scrivendo ai familiari, chiacchierando o sentendo musica. Questo periodo viene anche utilizzato per le telefonate con i familiari. Le stesse vengono consentite, anche se si ricorda l’invito a fare un uso sobrio del cellulare e delle comunicazioni con esterni. Tale indicazione è stata generalmente rispettata tranne in alcuni casi nei quali, a seguito di un serrato confronto con il gruppo, si è addivenuti alla decisione di stabilire norme più restrittive. In un caso, per decisione del gruppo, si è anche deciso di sperimentare una settimana di black out telefonico. Con l’eccezione di due casi, tale indicazione è stata scrupolosamente osservata.
LE TERAPIE IN GRUPPO
Il lavoro in gruppo rappresenta il cardine del processo terapeutico proposto e si sviluppa secondo modalità e obiettivi diversi che si articolano nei diversi giorni della settimana come segue:
gruppo di psicoterapia e autonarrazione
A turno ognuno dei residenti ha l’opportunità di “raccontarsi” al gruppo facendo emergere sia gli aspetti di luce che di ombra della propria esperienza personale. Viene inoltre invitato ad evidenziare i passaggi critici che possono essere identificati all’origine dei propri comportamenti problematici nonché le situazioni di rinforzo o di mancato superamento.
gruppo di arte terapia. Questa attività avrà due versanti privilegiati:
a) quello delle tecniche espressive (disegno, acquarello, pittura, model- lamento della creta, fotografia, etc)
b) quello della musica, movimento, poesia e teatro, secondo un calenda- rio di iniziative proposto dall’operatore competente e confrontato con i residenti. Per quanto riguarda la drammaterapia, in particolare, vengono previste sessioni con la possibilità di lavorare su testi densi di significato evocativo sulle tematiche inerenti la problematica in oggetto. Particolare significato ha avuto l’allestimento della rappresentazione teatrale di “Gradus” di Giulio Capanna che tocca in modo specifico la problematica del gioco d’azzardo.
Gruppo sul pensiero magico. Tale gruppo viene riservato sia ad elementi di carattere informativo su aspetti meno conosciuti del gioco (teorie matematiche etc), sia ad aspetti squisitamente cognitivi che re- centemente sono stati individuati all’origine di comportamenti compulsa- vi. Sia le ricerche in ambito analitico di Freud e di Bergler che di Laduceur (2003) in ambito cognitivistico, hanno evidenziato l’importanza del “pensiero magico” nel sostenere comportamenti sostenuti da meccani- smi apparentemente irrazionali, ma alimentati da una logica parallela che rischia di determinare le svelte del giocatore o di altre forme di patologia collegata alla dipendenza (Zerbetto, 2011).
Gruppo di verifica
Tale riunione ha il significato di valutare il percorso fatto nella settimana di lavoro e di stimare sia gli obiettivi conseguiti che quelli mancati. L’importanza di tale momento sta nel sostenere una attitudine a “consultare la mappa” nel percorso di cambiamento e di crescita intra- preso. In ogni navigazione è infatti importante consultare le stelle d riferimento a darsi un’idea del percorso fatto. L’attitudine a monitorare l’andamento del percorso sarà infatti importante per sostenere la fase di rientro nel periodo post-residenziale.
Il valore del denaro e la verifica sulle situazioni debitorie
Il rapporto con il denaro rappresenta generalmente un elemento problematico nella vita del giocatore, a prescindere dallo specifico coinvolgimento nel gioco d’azzardo che, di questa problematica di fondo, rappresenta generalmente l’espressone ultima e, per certi aspetti, “coerente”.
Il gioco creativo
Nel dopo-cena viene previsto uno spazio dedicato alla socializzazione informale nella quale riemergono spesso le tematiche affrontate nel corso del giorno ma anche al gioco creativo. Tale attività si rende importante in particolare perun programma che, per quanto concerne l'aspetto legato al gioco d'azzardo patologico, non si propone un radicale e spesso irrealistica interruzione delle attività di gioco di qualsiasi tipo, quanto un riorientamento di tale inclinazione in direzione di attività meno autodistruttive. Solo attraverso una sperimentazione “in vivo” di tali meccanismi potremo avere l’opportunità di analizzare i diversi patterns condottuali e verificarne l’impatto sui comportamenti che generalmente vengono messi in atto.
Il lavoro con le famiglie
Risulta assai improbabile attendersi un cambiamento durevole nei comportamenti di un dipendente senza un contemporaneo cambiamento delle modalità relazionali che coinvolgono le persone a lui più strettamente legate da vincoli familiari (Scardina, Lipari e Picone, 2006). L’esperienza sino ad ora maturata insegna che tale lavoro, in parallelo, riveste una importanza ineludibile e strutturale. E’ comunque impegno primario da parte degli operatori coinvolgere i familiari nella ricostruzione di una rete affettiva.
Si richiede quindi che, sia nella fase di intake che residenziale che infine dell’accompagnamento, i familiari maggiormente legati al soggetto problematico partecipino ad incontri di verifica sulle dinamiche in atto nell’ottica di un progressivo superamento degli aspetti comunicativi disfunzionali. E’ evidente, tuttavia, che un vero accompagnamento delle situazione a livello sistemico sia possibile solo nel contesto di un intervento strutturato a livello territoriale. Tale compito viene generalmente svolto da operatori competenti nel territorio e che seguono il processo lungo tutto l’arco del programma terapeutico attraverso incontri periodici con i familiari con o senza la presenza del soggetto sintomatico.
Riccardo Zerbetto